Il giorno successivo al furto di Napoli, l’ineffabile designatore Pierluigi Collina fece un’affermazione («Bergonzi bocciato, non sospeso») che solo Alvaro Moretti di
Tuttosport riuscì a decrittare. Infatti, il nostro fu l’unico giornale a prevedere che l’arbitro di Genova avrebbe saltato al massimo un turno, a parte quello immediatamente successivo (il mercoledì 31 ottobre), quando si sarebbe dovuto fermare comunque per fisiologico turn-over. Nel complimentarmi con il collega del nostro ufficio di Roma, non posso non rilevare come egli avesse perfettamente ragione a ritenere molto colliniana la punizione inflitta a Bergonzi. In pratica, una non punizione, visto che oggi, a due settimane dal misfatto, Bergonzi sarà il quarto uomo nel derby Siena-Livorno e, in teoria, potrebbe perfino sostituire il collega Girardi se un infortunio o un malessere si abbattessero sull’arbitro designato. Io credo, e spero, che l’eventualità sia remota, ma mi sento di contemplarla perché il calcio e la vita riservano le coincidenze più bizzarre e meno prevedibili. In ogni caso, l’importanza e l’incidenza del quarto uomo, vero e proprio collaboratore dell’arbitro, a lui direttamente collegato tramite auricolare, sono così sviluppate da non poter essere ridotte a mero formalismo. Il quarto uomo, seppur a bordo campo, arbitra almeno quanto un guardalinee, dialoga con il collega in campo, lo rassicura e, a volte, gli suggerisce. Magari Bergonzi avesse tratto assistenza da chi lo accompagnò nella sciagurata missione di Napoli (il quarto uomo era l’arbitro Nicola Ayroldi), invece di essere lasciato a sbagliare da solo.
Ma qui interessa Collina. Sempre a margine della scellerata partita, cercò di giustificare l’operato di Bergonzi nel modo più odioso e intollerabile che esista, cioè dando la colpa ai giocatori. Non, però, ai cascatori napoletani, ma a quegli attaccanti (Collina intendeva Del Piero), tirati in ballo a mo’ di esempio negativo per aver sbagliato gol apparsi facili solo a chi non ha mai giocato (Collina per l’appunto). Cosa fa in quel caso l’allenatore – si domandava l’impertinente Collina – mette fuori rosa il giocatore? Mi preme ricordare al designatore e al suo protettore Cesare Gussoni (imperdonabile per come si comportò nella vicenda del plurinquisito Paparesta), che alla Juve – altrove non so – Zebina è stato «squalificato» anche dalla società e da Ranieri dopo i quattro turni beccati dal giudice sportivo in seguito all’espulsione di Cagliari. In pratica, razione raddoppiata (otto giornate fuori), più quarantamila euro di multa. Eppure privarsi di Zebina rappresenta una grave amputazione tecnica in un collettivo, come la Juve appunto, non esattamente dotato di qualità in difesa. Tuttavia fu fatto perché, secondo l’allenatore e i vertici del club, la punizione era doverosa e doveva essere pesante. Sia dal punto di vista sportivo (cioè non giocando), sia dal punto di vista economico (80 milioni di lire restano una bella cifra). Ma Collina non sarebbe Collina se non fosse abile a surfare tra i cavilli in maniera pateticamente capziosa. Come il giorno in cui, per giustificare un rigore non assegnato, spiegò che «non era stato il braccio del difensore ad andare verso la palla, ma viceversa ». E’ con verità come questa che si fa carriera.
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